La Sacra Sindone da Gerusalemme a Casa Savoia: storia antica

di Emanuela Marinelli

Sacra Sindone
Particolare del volto

La Sindone (dal greco sindon, lenzuolo) è un lungo telo di lino (442×113 cm) conservato a Torino su cui sono visibili due righe scure, numerosi fori triangolari – tracce dell’incendio che ha danneggiato il lenzuolo nel 1532 – e alcuni aloni provocati dall’acqua. Nel 1988 fu datata con il metodo del Carbonio 14 e, in base a questa analisi, risalirebbe a un periodo compreso tra il 1260 e il 1390 d.C. Tuttavia, le modalità dell’operazione di prelievo, la zona del campionamento e l’attendibilità stessa del metodo per tessuti che hanno attraversato vicissitudini come quelle della Sindone sono ritenute insoddisfacenti da un numero rilevante di studiosi. Un’importante indagine statistica (University of Oxford, Archaeometry, 2019), basata sia sui dati ufficiali che su quelli grezzi del 1988, ha successivamente dimostrato come la conclusione di tale studio non possa considerarsi affidabile a causa della disomogeneità dei campioni utilizzati. Molte analisi scientifiche avvalorano l’autenticità della Sindone: la grande abbondanza di pollini di provenienza mediorientale e di aloe e mirra; la manifattura rudimentale della stoffa, che è comunque molto pregiata; la presenza di aragonite simile a quella trovata nelle grotte di Gerusalemme; una cucitura laterale identica a quelle esistenti su stoffe ebraiche del primo secolo; cospicue tracce di DNA mediorientale.

Secondo un’antica tradizione, la Sindone sarebbe il lenzuolo funebre di Gesù Cristo e su di essa è visibile l’impronta in negativo del cadavere che vi fu avvolto: un uomo flagellato, coronato di spine, crocifisso con chiodi e trapassato da una lancia al fianco, il cui sangue è risultato di gruppo AB. Il tempo di contatto fra corpo e lenzuolo è stato valutato attorno alle 36-40 ore e tutto coincide con la narrazione dei Vangeli. La presenza dell’impronta umana, dovuta a disidratazione e ossidazione delle fibrille superficiali del lino, rimane però ancora un mistero. Alcuni esperimenti condotti presso l’ENEA di Frascati (Roma) hanno dimostrato che l’immagine si potrebbe spiegare come l’effetto di una potentissima luce e viene spontaneo pensare alla Trasfigurazione di Gesù: un fenomeno di luce che potrebbe essersi verificato anche al momento della Resurrezione.

Fra le varie scienze che hanno confermato l’autenticità della Sindone, notevole è stato il contributo della Storia dell’Arte. Si può trovare una chiara ispirazione alla Sindone nelle icone, nei mosaici e negli affreschi che da secoli ritraggono Gesù proprio con alcuni particolari visibili nell’immagine impressa sul Sacro Lino. Si possono individuare sulla Sindone parecchi elementi non regolari, difficilmente attribuibili alla fantasia degli artisti, che fanno capire come le antiche raffigurazioni del volto di Cristo dipendano dalla venerata reliquia: i capelli sono lunghi e bipartiti; molti volti mostrano due o tre ciocche di capelli nel mezzo della fronte, il che può essere una maniera artistica di raffigurare il rivolo di sangue a forma di epsilon presente sulla fronte del volto sindonico; le arcate sopracciliari sono pronunciate; molti volti hanno un sopracciglio più alto dell’altro, come il volto sindonico; alla radice del naso alcuni volti hanno un segno come di un quadrato mancante del lato superiore e sotto di esso c’è un segno a V. Inoltre il naso è lungo e diritto; gli occhi sono grandi e profondi, spalancati, con iridi enormi e grandi occhiaie; gli zigomi sono molto pronunciati, talvolta con macchie; una zona abbastanza larga tra le gote del volto sindonico e i suoi capelli è senza impronta, cosicché le bande dei capelli appaiono come troppo distaccate dal viso; una guancia è molto gonfia a causa di un forte trauma, perciò il volto risulta asimmetrico; i baffi, che sono spesso spioventi, sono disposti asimmetricamente e scendono oltre le labbra da ciascun lato con un’angolatura diversa; la bocca è piccola, non nascosta dai baffi; c’è una zona senza barba sotto il labbro inferiore; la barba, non troppo lunga, bipartita e talora tripartita, è leggermente spostata da un lato.

A partire dal VI secolo si diffonde un particolare tipo di ritrattistica legata alla figura di Gesù e ispirata alla Sindone: si tratta del Cristo maestoso, con barba e baffi, chiamato Pantocrator (Onnipotente), di cui esistono splendidi esempi in Cappadocia. È evidente l’ispirazione alla Sindone nel volto di Cristo del vaso d’argento del VI secolo trovato a Homs, in Siria, oggi conservato al Louvre di Parigi, e in quello del reliquiario d’argento del 550, proveniente da Chersonesus in Crimea, che si trova all’Ermitage di San Pietroburgo. Il Pantocrator è presente anche nell’era post-bizantina e rimarrà sostanzialmente invariato fino a oggi. In Oriente, così come in Occidente, questo tipo di immagine diviene così unica per tutta l’arte figurativa. A Istanbul troviamo guance concave e zigomi sporgenti e asimmetrici sia nel Pantocrator (XIII secolo) di S. Sofia che in quello (XIV secolo) di S. Salvatore in Chora.

L’osservazione del volto sindonico condiziona anche la rappresentazione di Cristo sulle monete bizantine a partire dal VII secolo. Il primo Imperatore a far raffigurare sulle monete il volto di Gesù fu Giustiniano II (Imperatore bizantino dal 685 al 695 e dal 705 al 711). Sul suo solidus aureo (692-695) compare un Pantocrator dai lineamenti fortemente simili a quelli sindonici: chioma ondulata cadente dietro le spalle, barba lunga, baffi e caratteristico piccolo ciuffo sulla fronte.

Pantocrator, icona del VI secolo, Monastero di Santa Caterina al Monte Sinai

Purtroppo sono pochissime le immagini di Cristo sopravvissute al terribile periodo della furia iconoclasta (730-843) in cui prevalse la negazione delle raffigurazioni sacre. Cessate le lotte iconoclaste, il volto sindonico di Cristo verrà riprodotto di nuovo sulle monete. Un Pantocrator fortemente sindonico, espressivo, dai grandi occhi, lunga capigliatura e barba, appare anche sul solidus aureo di Michele III (842-867). Con la tecnica della sovrapposizione in luce polarizzata è stato dimostrato che il volto sindonico combacia in più punti con quello, opportunamente ingrandito, del Pantocrator raffigurato sulle monete: ci sono più di 140 punti di congruenza, cioè punti di sovrapponibilità, con il solidus e con il tremissis del primo regno di Giustiniano II. Ciò soddisfa ampiamente il criterio forense statunitense, per il quale sono sufficienti da 45 a 60 punti di congruenza per stabilire l’identità o la similarità di due immagini.

Icona del X secolo, Monastero di Santa Caterina al Monte Sinai

La stessa tecnica, applicata a uno degli esemplari più belli di Pantocrator, quello del Monastero di Santa Caterina al Monte Sinai (VI secolo), presenta 250 punti di congruenza. Nel Monastero è conservata anche un’altra icona, del X secolo, proveniente da Costantinopoli, verosimilmente realizzata su commissione imperiale. Nella parte superiore, a sinistra, è raffigurato un santo, identificabile con l’apostolo Giuda Taddeo. Nella parte superiore destra è raffigurato Abgar, il Re di Edessa, che riceve il Mandylion, il panno con l’immagine di Cristo. Il santo raffigurato sulla sinistra ha un volto simile a quello del personaggio che consegna il Mandylion al Re. Interessante l’accostamento: Giuda Taddeo è posto, infatti, alla stessa altezza di Abgar e siede su un seggio simile per sottolineare una pari dignità e una certa continuità del testo pittorico, come a voler dire che tra il santo e la consegna del Mandylion ad Abgar ci sia una sorta di collegamento naturale, dovuto alla conoscenza di testi e tradizioni orali che mettevano in relazione i due personaggi. L’analisi pittorica dell’icona tende a giustificare queste ipotesi. Sotto il profilo storico, sono particolarmente interessanti le testimonianze sul Mandylion, che lo storico Ian Wilson ha identificato con la Sindone. Nel 944 il Mandylion fu trasferito a Costantinopoli.

Nella sua opera La conquête de Constantinople, Robert de Clari – un cavaliere piccardo, cronista della IV Crociata – scrisse delle meraviglie che si potevano vedere prima della caduta della città nelle mani dei crociati latini, avvenuta il 12 aprile 1204. Tra queste vi era la chiesa di “S. Maria delle Blacherne, dove si trova la sindone (sydoines) in cui fu avvolto Nostro Signore, che ogni venerdì veniva esposta ritta in modo che si potesse ben vedere la figura di Nostro Signore: non ci fu nessuno, né Greco, né Francese, che abbia saputo che cosa sia accaduto a questa sindone dopo che la città venne conquistata”.

Nel 1205 era mégaskyr – ossia signore – di Atene il cavaliere borgognone Othon de la Roche, Barone di Ray-sur-Saône. Othon de la Roche, come consigliere e rappresentante di Bonifacio del Monferrato, era stato uno dei protagonisti della IV Crociata e in quell’occasione aveva visitato il palazzo delle Blacherne. Dopo la caduta di Costantinopoli, l’Impero bizantino era stato diviso dando vita all’Impero latino d’Oriente con Baldovino di Fiandra Imperatore e Bonifacio del Monferrato Re di Tessalonica. Proprio per i meriti acquisiti durante la Crociata, Othon de la Roche venne nominato mégaskyr di Atene e Tebe da Bonifacio del Monferrato e in quell’occasione, come ricompensa per i suoi meriti, potrebbe aver ricevuto in dono anche la Sindone, che conservò ad Atene e portò con sé di ritorno in Francia, probabilmente intorno al 1226.

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E. Marinelli, La Sacra Sindone: da Gerusalemme a Casa Savoia, relazione dell’intervento realizzato per il convegno Fede, cultura e tradizioni in Piemonte e negli antichi stati di Savoia, Torino 10 settembre 2022