La Sacra Sindone da Gerusalemme a Casa Savoia: storia europea

di Emanuela Marinelli

Medaglia commemorativa del Duca Ludovico di Savoia, 1453

Circa un secolo e mezzo dopo il suo arrivo in Francia, verosimilmente grazie al Barone Othon de la Roche, il Sacro Lino tornò a far parlare di sé non molto lontano da Ray-sur-Saône, precisamente a Lirey, dove il cavaliere Geoffroy de Charny sposò una discendente diretta del Barone: Jeanne de Vergy. La nobildonna avrebbe portato in dote la Sindone al momento del suo matrimonio, trasferendo così la reliquia nelle mani sicure di un altro crociato. Fu infatti proprio Geoffroy de Charny a fondare, nel 1353, il capitolo della collegiata di Lirey dove la Sindone venne depositata all’interno di una cassa recante il suo stemma. Pochi anni dopo, il 19 settembre 1356, Geoffroy morì in battaglia a Nouaillé-Maupertuis, a circa otto chilometri a sud di Poitiers, lasciando la giovane moglie e due figli ancora bambini, Geoffroy II e Charlotte. Geoffroy II seguì le orme del padre, divenendo un valoroso cavaliere e alla sua morte, avvenuta nel 1398, la Sindone fu ereditata da sua figlia, Marguerite de Charny, che per alcuni anni la lasciò nella collegiata di Lirey. Quando Marguerite superò i sessant’anni, la mancanza di figli rese urgente la collocazione della reliquia in mani sicure per i tempi futuri. I Savoia apparvero la soluzione migliore. Un motivo determinante che la convinse fu senza dubbio la profonda religiosità del Duca Ludovico e della consorte Anna di Lusignano, che certamente avrebbero conservato con grande cura il prezioso lino. Durante la Quaresima del 1453 Marguerite partì dunque per Ginevra, dove fu accolta con ogni cortesia dal Duca e sua moglie, che mostrarono vivo interesse per la Sindone. Si ritiene che venne ceduta loro il 22 marzo di quello stesso anno.

Poiché Ludovico e Anna erano molto legati ai Francescani, la reliquia venne collocata nella loro chiesa di Ginevra per poi essere trasferita a Chambéry, sempre all’interno di una chiesa francescana. Ludovico fece battere monete con l’immagine della Sindone e l’iscrizione “Sancta Syndon Domini Iesu Christi”, ovvero “Santa Sindone del Signore Gesù Cristo” e venne anche coniata una medaglia commemorativa, nella quale un angelo con le braccia alzate mostra un lungo lenzuolo con la duplice immagine di Gesù e l’iscrizione “Sancta Sindon D. N. Iesu XPI MIIII.LIII” (1453). Divenuta quindi ufficialmente proprietà dei Savoia, la Sindone seguì per anni gli spostamenti dei Duchi tra i loro castelli. Ludovico morì a Lione il 29 gennaio 1465 e gli successe il figlio primogenito, Amedeo IX, che aveva sposato Jolanda di Valois, sorella del Re di Francia Luigi XI. Uomo molto pio, tanto che alla sua morte sarebbe stato beatificato, Amedeo fu terziario francescano e nel febbraio 1466 chiese al Papa Paolo II che fosse concessa l’indulgenza plenaria ai fedeli che il Venerdì Santo si recavano a visitare la cappella ducale del castello di Chambéry, capitale del Ducato, dove quel giorno veniva esposta la Sindone.

A partire dal 1471 il Duca incominciò ad abbellire e ingrandire la cappella in previsione di una futura collocazione definitiva della Sindone. Nel frattempo, i Savoia fecero realizzare un prezioso cofanetto per custodirla. L’11 giugno 1502, per volere del Duca Filiberto II e della moglie Margherita d’Asburgo, la reliquia fu dunque prelevata dalla Chiesa di San Francesco e collocata nella Sainte-Chapelle del Castello con una solenne cerimonia e pochi anni dopo, nel 1506, tale sistemazione divenne definitiva. In quello stesso anno il Duca Carlo III e sua madre Claudine de Brosse rivolsero una supplica a Papa Giulio II per ottenere l’approvazione papale dell’Ufficio e della Messa in onore della reliquia, dando così inizio al culto pubblico del Sacro Lino. Il Papa rispose positivamente alla richiesta dei Savoia e fissò la ricorrenza liturgica al 4 maggio, giorno successivo alla commemorazione del ritrovamento della Santa Croce.

Nella notte tra il 3 e il 4 dicembre 1532 il reliquiario che conteneva la Sindone si trovò nel mezzo di un incendio divampato nella Sainte-Chapelle. Il venerato Lino venne portato in salvo, ma risultò gravemente danneggiato. Il 23 aprile 1533 Papa Clemente VII incaricò il Cardinale Louis de Gorrevod de Challant di informarsi sullo stato della reliquia, chiedendo anche di interessarsi del restauro che avrebbe dovuto essere compiuto da religiose.

L’anno successivo, il Cardinale presiedette una ricognizione del prezioso lenzuolo, che venne affidato alle Clarisse del Monastero di Sainte-Claire-en-ville a Chambéry per le necessarie riparazioni, realizzate dalla stessa madre badessa, Louise de Vargin, con l’aiuto di tre monache. Al termine del lavoro di restauro, il 2 maggio 1534, la Sindone fu riportata nella Sainte-Chapelle, arrotolata e avvolta in una telo di seta rossa, e inserita in un nuovo reliquiario poiché il precedente era stato devastato dalle fiamme. Quando Emanuele Filiberto decise di trasferire la capitale da Chambéry a Torino, dove si stabilì il 7 febbraio 1563, il Duca iniziò a pensare al trasferimento della Sindone nel capoluogo piemontese; dovette però aspettare l’occasione propizia per far accettare la dolorosa perdita della venerata reliquia agli abitanti di Chambéry; circostanza che non tardò ad arrivare.

Particolare della vetrata della Sainte-Chapelle di Chambéry

Nel 1576 la peste stava, infatti, decimando gli abitanti di Milano e il Cardinale Carlo Borromeo, divenuto poi santo, pregò con fede il Signore implorando la fine della pestilenza e facendo voto di andare a piedi a venerare la Sindone se le sue suppliche fossero state esaudite. Dio ascoltò le preghiere di San Carlo, che volle quindi compiere il viaggio in scioglimento del voto. Il lungo cammino prevedeva anche l’attraversamento delle Alpi ma, venuto a conoscenza delle pie intenzioni del Cardinale, Emanuele Filiberto colse al volo l’opportunità tanto attesa e decise di trasferire la Sindone a Torino.

Il 9 ottobre 1578, dopo molti giorni di faticoso pellegrinare, San Carlo giunse a Cascina di Rio Martino, a circa quindici chilometri da Torino, dove lo accolse l’Arcivescovo di Torino, Monsignor Gerolamo della Rovere, mentre a circa un chilometro dalla capitale li attese il Duca con il figlio, Carlo Emanuele, e alcuni vescovi. Il Duca abbracciò il Cardinale Borromeo e proseguì il cammino al suo fianco. Una salva di cannoni e la cavalleria schierata salutarono l’arrivo degli illustri pellegrini in città e il corteo si spostò dapprima in Duomo, per le preghiere di ringraziamento a Dio, e poi nella chiesa di San Lorenzo, per venerare la Sindone.

La Vergine, il Beato Amedeo di Savoia e San Maurizio sorreggono la Sindone, affresco attribuito a G. Grattapaglia (©Palazzo Madama, Torino)

La rappresentazione ricorda l’Ostensione del 1642, che segnò la fine delle ostilità aperte per la successione al trono tra Madama Cristina di Francia e i suoi cognati.

Il XVI e il XVII secolo a Torino sono ricordati per le solenni ostensioni del 4 maggio e di altre particolari ricorrenze, come le celebrazioni degli eventi dinastici di Casa Savoia. In questi due secoli sono state prodotte anche numerose copie del Sacro Lino, donate dai Savoia a personalità e istituzioni che le desideravano allo scopo di poterle venerare: tali copie, una volta realizzate, venivano fatte combaciare con l’originale in modo da renderle sacre come reliquie per contatto. Le solenni ostensioni si susseguirono e richiamarono sempre una moltitudine di fedeli.

Fu il Duca Carlo Emanuele I, già dal 1588, ad aver cominciato a pensare concretamente alla realizzazione di una straordinaria cappella-reliquiario per la Sindone. Il progetto dell’architetto Ascanio Vitozzi e dell’architetto e ingegnere Carlo Cognengo, Conte di Castellamonte, uno dei maggiori esponenti del barocco piemontese, fu avviato nel 1610 ma venne interrotto nel 1624 e di nuovo nel 1665 per timori statici. La costruzione fu ripresa due anni dopo grazie all’intervento di Guarino Guarini, un padre Teatino d’ingegno eclettico: era teologo, filosofo, letterato, commediografo, matematico, astronomo e architetto. Guarini modificò il progetto esistente e realizzò un’opera straordinaria che, purtroppo, non poté vedere completata a causa della morte, il 6 marzo 1683.

Il 1º giugno 1694 il Sacro Lino fu trasferito, con una cerimonia solenne, nella sontuosa cappella e il reliquiario fu collocato sopra l’altare. Il 26 giugno dello stesso anno Sebastiano Valfrè, presbitero della Congregazione dell’Oratorio di San Filippo Neri, poi Beatificato, rinforzò i rattoppi e i rammendi eseguiti nel 1534 dalle Clarisse di Chambéry. Valfrè cucì sulla Sindone nuovi veli di protezione alla presenza del Duca Vittorio Amedeo II e della consorte Anna Maria d’Orléans, che lo aiutò nel suo lavoro, e fu talmente commosso che, nel corso dell’operazione, gli caddero alcune lacrime sul prezioso lenzuolo. Un filo venne quindi prelevato e successivamente riposto in una piccola teca d’oro a forma di cuore che il Duca portò al collo per tutta la vita. Il Beato ricevette in dono gran parte dei due veli di seta asportati e li tagliò in piccoli pezzetti da distribuire come reliquie a persone devote. Anche i veli del Valfrè subirono la stessa sorte quando, nel 1868, furono sostituiti dalla Principessa Maria Clotilde di Savoia.

Il lungo periodo di custodia della Sindone da parte di Casa Savoia si è concluso con l’ultimo Re. Alla morte di Umberto II, il 18 marzo 1983, per suo volere testamentario la più importante reliquia della cristianità è stata donata al Papa, a condizione che questa continuasse a essere conservata nella città di Torino.

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E. Marinelli, La Sacra Sindone: da Gerusalemme a Casa Savoia, relazione dell’intervento realizzato per il convegno Fede, cultura e tradizioni in Piemonte e negli antichi stati di Savoia, Torino 10 settembre 2022